DUE CHIACCHIERE COL CAPITANO
Piacenza, 6 marzo 2018
Per chi è ancorato a una visione romantica del calcio, il capitano non può essere un semplice calciatore: la fascia che porta al braccio, infatti, lo identifica come colui che maggiormente rappresenta la società di appartenenza.Se nel calcio moderno il significato di questo ruolo si è affievolito e quella fascia sembra aver perso importanza, al Piacenza è accaduto il contrario.
Noi abbiamo Jacopo Silva.
La sua storia la conosciamo tutti, non serve ripeterla. Ciò che non è di dominio pubblico, invece, è la sua abnegazione, la sua generosità e quella determinazione che mette in ogni singolo allenamento. Quando Silva esce per primo dal tunnel per guidare i suoi compagni verso una nuova battaglia, ogni tifoso biancorosso non può che riconoscersi nella sua espressione dura e fiera. Perché per essere capitani non basta portare una fascia al braccio.
Bisogna essere molto più di questo. E Jacopo Silva lo è.
Il nostro addetto stampa Riccardo Mazza lo ha incontrato ed intervistato: ecco com’è andata.
Piacentino, cresciuto nel settore giovanile del Piacenza e oggi capitano della prima squadra biancorossa. Ci pensi mai che rappresenti una sorta di eccezione vivente?
Sicuramente è motivo di orgoglio il fatto di essere il capitano della squadra della mia città, ma se devo essere sincero non ci ho mai pensato granché. Mi sono sempre preoccupato maggiormente delle questioni inerenti al campo.
Che significato ha avuto, per te, tornare al Piacenza nel 2015?
E’ stata davvero una bella sensazione: essermene andato nel 2012, dopo tutto quello che era accaduto, mi aveva lasciato dentro un senso di incompiutezza. L’idea di aver contribuito a riportare il Piacenza nei professionisti mi emoziona e mi rende felice.
I nostri tifosi hanno imparato a conoscerti quando eri ancora un giovanissimo centrocampista. Quattro stagioni più tardi ti hanno ritrovato come un grande difensore centrale (a parere di molti, attualmente, uno dei migliori di tutta la serie C). Come è avvenuta questa metamorfosi da mediano a centrale difensivo?
Si tratta di un’idea di mister Franzini che, ai tempi del Pro, trovandosi in situazioni di emergenza, ha deciso di provarmi in quel ruolo e le mie prestazioni gli hanno dato ragione. Da li non ho più cambiato posizione in campo. Le mie caratteristiche migliori? Il tempismo negli interventi e la capacità di leggere le situazioni di gioco.
Questo è il sesto anno consecutivo che affronti con Franzini come allenatore. Cosa c’è alla base del vostro rapporto? Come fa il mister a darti sempre nuovi stimoli per migliorarti giorno dopo giorno?
Col mister mi trovo benissimo sia dal lato calcistico che da quello umano. Riesce a darmi quella serenità e quella carica che sono necessarie per rendere al meglio: per un calciatore non c’è cosa più bella di percepire la stima e la fiducia del proprio allenatore.
Quest’anno, soprattutto nella prima parte della stagione, la squadra ha un po’ faticato. Secondo te come mai c’è stata questa flessione dopo due anni di grandi soddisfazioni?
Credo si sia trattato di un problema psicologico: essendo cambiati molti giocatori in estate ed essendosi abbassata l’età media della squadra, nei momenti difficili ci è mancata quella forza mentale che è fondamentale per uscire dai periodi negativi. Anche perchè la rosa è sempre stata costituita da elementi di ottima caratura tecnica e morale.
Se dovessi scegliere le tre partite in maglia biancorossa che ti rimarranno sempre nel cuore, quale sarebbe la classifica?
In primis il derby di ritorno dello scorso anno qui al Garilli contro la Cremonese, poi quello di andata allo Zini e infine la gara di Mapello che ci ha consentito di festeggiare la promozione in Lega Pro.
Ufficio Stampa Piacenza Calcio 1919